venerdì, settembre 19, 2008

The great gig in the sky


Cinque giorni fa se ne è andato il Pink Floyd più schivo e, forse, sottovalutato: Richard Wright. Ascoltando all'infinito la musica di questa gente sono cresciuto, ho, diciamo così, imparato a suonare qualcosa che non fosse scolastico. Ho imparato (se si può imparare) ad amare la musica che oggi è scolpita nel mio dna, marchiata a fuoco sulla mia pelle, sciolta nel mio sangue. I Pink Floyd mi hanno spalancato le porte del rock e, da lì, ho camminato dentro le sue variegate stanze. Adoro ancora i Pink Floyd, come allora. E, alla notizia della sua dipartita, ho sentito mancare per un po' una piccola parte di ciò che sono. Poi, oggi, li ho riascoltati e ho rivisto il video che ho messo qua sopra. Quella parte di me ancora c'è, è viva e lotta con me. E Wright, forse il Floyd che amo di più per il suo atteggiamento, appunto, schivo, quasi volesse farsi sommergere dalle sue tastiere per non farsi vedere, c'è. E' lì. Nei dischi. In quel muro sonoro su cui Gilmour verniciava come graffiti i suoi assoli, poderosi anche con tre note. Nel suo organo e nel suo piano sempre in bilico tra jazz, sgangheratezza, psichedelia e perfezione. Il suono dei Pink Floyd è, in grandissima parte, il suono di Wright. L'ho sempre detto. Provare a immaginare Echoes senza la sua voce, Dark side of the moon e Wish you were here senza le sue tastiere è impossibile.
Un saluto.

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