mercoledì, settembre 27, 2006

Pearl Jam - Bologna, 14-09-2006

Se il primo concerto della tua vita è un concerto dei Pearl Jam e ti viene da pensare anche solo per un istante che i concerti possano essere tutti così, ti conviene non vederne più. Io ne ho visti tanti, bellissimi e non, ma mai ho avuto la sensazione di essere sul palco con chi suonava. Sono una certezza. Sono tutto ciò che la musica dovrebbe essere, un coinvolgimento a 360°. Credo di aver grondato più sudore quella sera che in tutta la mia vita. So di essere un privilegiato e ho la sensazione che Dio ci sia e suoni sul palco insieme a loro, perché tutto ciò che è successo lì dentro non è frutto solo della sala prove. E poi, Dio ce ne scampi, amano suonare! Scontato? Bah, a guardare i gruppetti di oggi non si direbbe: la musica è solo contorno. E’ “merda farcita”, come la chiamerebbe Beppe Grillo. Già, una domanda: ma i Pearl Jam sono un “gruppo di oggi” o no? L’anagrafe (discografica ma, forse, non solo…) sembra volerli piazzare meglio fra i “classici” (che brutto termine…), ma la loro vitalità e intensità, il loro modo di essere “on the road”, presenti, e di non tradire mai loro stessi, invece, li rendono più che mai “nuovi”, strabordanti di freschezza. Ogni concerto è il primo che fanno, il primo che vedi.

Gli amici, le persone che hanno viaggiato con te, sono quelli di sempre, quelli di anni e anni di concerti, chitarre e passioni, quelli con cui sei diventato adulto e con cui entravi nel negozio di dischi per comprare insieme lo stesso cd. Alle 4.30 del pomeriggio siamo lì, fuori dal Palamalaguti. Il cielo è autunnale, plumbeo, ogni tanto cade qualche goccia d’acqua. Per me è quello adatto per ascoltare musica: come se fosse una stanza buia in cui accendere la luce.
Il gruppo-spalla, come si chiamava un tempo, sono i My morning jacket. Nulla di che, apparte qualche bella schitarrata nel finale di un paio di brani... sarà l'attesa.
Alle 9 e qualche minuto parte l’intro di Ten, indimenticato e indimenticabile disco d’esordio (15 anni fa, un “classico” del rock… ops!). Poi entrano. Eddie prende la sua telecaster e spenna un re maggiore…datemi la spiegazione scientifica di come si possa avere la pelle d’oca solo per questo, per favore. Si comincia con Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town (“I just wanna scream HELLO!” giusto, ciao ragazzi…) ed è già calore pieno, non solo emotivo. Il concerto procede come al solito (!), con momenti di grande furia (Do The Evolution, Animal, Even Flow con assolo di batteria) e ballate cariche di energica libertà (Given To Fly, I Am Mine). I pezzi del nuovo disco dal vivo rendono davvero bene. Su Severed Hand e World Wide Suicide si balla, si salta e ci si libera delle scorie della vita, su Marker In The Sand non si può non avere il cuore in mano, perché loro scrivono e suonano così, col cuore in mano. Il trittico Alone-Whipping-Present Tense è un qualcosa che non si può spiegare a parole, ti colpisce, ti accarezza, ti scuote. Ti sveglia dal torpore cerebrale e ti rimette addosso la voglia di affrontare il mondo. Black è di un’intensità che fa quasi spavento. Baba O’Riley, grande pezzo degli Who che i Pearl Jam contribuiscono con anni di concerti a rendere immortale, è un tripudio di potenza e vibrazioni positive (“I don’t need to fight to prove I’m right, I don’t need to be forgiven”). Il concerto si chiude come tramonta il sole, col crepuscolo di Indifference, che a me fa sempre l’effetto riscaldante di una coperta d’inverno, e lo fa anche stasera, nonostante faranno 45 gradi, qua dentro, e siamo tutti incredibilmente zuppi di sudore. Venticinque brani, venticinque epitaffi scolpiti sul mio cervello, sul mio cuore e sul mio stomaco per ricordarmi tutto ciò che di imperdibile c’è nel mondo e che per me, stasera, è lì, tutto insieme. I ragazzi sembrano soddisfatti e ci salutano con sguardi e inchini che trasudano ringraziamenti sinceri. Sembrano non volersene andare (Eddie l’aveva detto alla fine di Why Go: “In Italia, Why Go Home?”).
Mi sono beccato una mezza bronchite, uscendo grondante dal Palamalaguti, e ancora la sento, dopo due settimane, che mi infiamma le vie respiratorie. Non se ne vuole andare. Oggi ho iniziato a prendere gli antibiotici e a fare l’aerosol: devo pur farle capire, alla bronchite, che non serve che mi rimanga attaccata come una sanguisuga per ricordarmi che quella sera sono stato lì, ci riesco benissimo da solo. Ci riuscirò fino al mio, di crepuscolo. E sul letto di morte mettetemi su Indifference.

lunedì, settembre 18, 2006

A14

Non ci sono cazzi. Ogni volta che devo fare qualcosa d'importante, ho a che fare con l'Adriatica. E' il mio arco di trionfo per il mondo. Da Ancona a Bologna e da lì a chissà dove...
Si può solo essere grati ad una strada che, un giovedì di settembre, ti porta fino al concerto dei Pearl Jam...