giovedì, gennaio 31, 2008

Con ritardo, come al mio solito quando si tratta di fare cose che "tanto ci vuole un attimo", posto la recensione di Ale (jumbolo, vedi link sulla sinistra) dell'ultimo album dei Marlene Kuntz - Uno - uscito a settembre. Sappiate che mi trova perfettamente d'accordo, come spesso (ma non sempre, vero Ale?) mi capita con le sue recensioni.

uno e trino

La prima cosa che ti viene in mente ascoltando questo disco è uno strano senso di dispiacere per chi non riuscirà ad apprezzarlo. Soprattutto verso chi non si sentirà addosso tutto il percorso di Marlene. Non so se vi è mai capitato, ma, all'inverso, esiste una piacevolissima sensazione di osmosi totale quando, dopo alcune prove di un regista, uno scrittore, un musicista, tu, persona media nella media, ti accorgi di avere un tratto comune con l'artista. Senti che c'è qualcosa che ti accomuna a lui nel cambiamento. Tutto intorno a te rimane fermo e non comprende, mentre tu scorri, cambi e, in un certo qual modo, capisci e, anzi, ti sembra una cosa normale quella che ha filmato, scritto o cantato il personaggio pubblico.


Intendiamoci, non che ci si trovi dinnanzi al disco perfetto, ma davanti ad un gran disco di una delle più importanti band italiane degli ultimi anni, questo si. Una delle canzoni più difficili e probabilmente imperfette di questo Uno, Fantasmi, ha una strofa asimmetrica durante la quale la voce di Cristiano sembra stentare e perdersi, un divenire che sembra suggerirti "ma è brutta questa canzone" e poi ecco arrivare una specie di ritornello che sembra avere un debito con quello di Jesahel dei Delirium di Fossati. Che sia un indizio? Forse.


Certo è che i Marlene Kuntz proseguono sulla strada della loro ispirazione. Sarebbe comodo scrivere come chi ha la verità in tasca, e dire che la virata ebbe inizio con Senza Peso, disco bellissimo ma a suo tempo aspramente criticato e contestato, ma ci si dimenticherebbe che già il predecessore, Che cosa vedi, non era poi così diverso, e che, per dirne una, già nello splendido e sferragliante Ho ucciso paranoia era contenuto, in nuce, il fuoco sacro della canzone d'autore. Come definire altrimenti un pezzo come Ineluttabile?


Ma torniamo all'oggi, al qui e ora. Certo, non può non stupire, positivamente crediamo, ascoltare la bossanova semi-elettronica di Negli abissi fra i palpiti, o l'inquietante ballata dark-sinfonica che segue, dal titolo Stato d'animo. E, allo stesso tempo, come non riconoscere il timbro di Marlene nell'incipit evocativo dell'opener Canto, un pezzo dove Godano si supera, ebbene si, fin dall'inizio, sfoderando un canto, appunto, magistrale ed inconsueto per un certo tipo di rock? Se non rabbrividite da subito, mentre canta sto perdendoti - e quando accadrà - il demonio del grande rammarico - il mio girovagare dovrà - fuggire ovunque - inseguito dalla colpa, beh, lasciate perdere. O forse, no, aspettate. Aspettate fino alle prime note di pianoforte del pezzo seguente, Musa, suonate nientemeno che da Paolo Conte, e poi decidete. Se pensate che un ritornello, se volete anche ruffiano, con un controcanto operistico, che però dice perchè tu sai come farmi uscire da me, dalla gabbia dorata della mia lucidità; e non voglio sapere quando, come e perchè questa meraviglia alla sua fine arriverà, non faccia per voi, non vi biasimeremo. Del resto, l'arioso finale segna un passaggio difficile da sopportare per chi continuerà a rimpiangere Catartica e la sua carica rumorosa. Peccato, perchè altre canzoni, non ultima 111, la canzone che segue, meriterebbero di essere ascoltate ripetutamente. Proprio 111 è forse il pezzo che richiama di più le "origini" della band cuneese.


Probabilmente è meglio che chi vi scrive, a questo punto, si fermi. Inutile sarebbe sciorinarvi titoli e aggettivi abbinati alle canzoni che rimangono da citare. Il senso, l'avete capito. Siamo di fronte alla prosecuzione di un cammino naturale, anche se rischioso.

Non posso però esimermi dal dare spazio almeno al pezzo di chiusura, quello che dà il titolo all'album, Uno (da Nabokov: Esiste solo un numero vero: Uno. E l'amore, a quanto pare, è l'esponente migliore di questa unicità). Una specie di Bignami marleniano, e al tempo stesso il segno del cambiamento. L'incedere familiare, un ritornello accattivante, quasi un anthem sinfonico, e poi l'apertura pseudo-pop a seguire, con una chitarra che deve molto a The Edge, addirittura.


Chi è innamorato dell'amore rimarrà fedele a Cristiano Godano e ai suoi splendidi testi. Chi ha nostalgia delle fighe blu si sentirà tradito, ma forse rimarrà solo confinato in un recinto che potrebbe un giorno stargli stretto, un po' come l'ignavo della ballata. Chi rimarrà affascinato da questo disco ne godrà a lungo. E, mi permetto, non è finita qui. Proprio perchè non è, come detto poco dopo l'apertura, un disco perfetto, qualcosa mi dice che sia solo un'ulteriore tappa sperimentale e coraggiosa, verso la definizione di qualcosa di abbagliante.

Il tempo, si sa, è galantuomo.


Marlene Kuntz Uno

2 commenti:

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Mi riprometto di commentare questo tuo post tra poco ma intanto volevo dirti con tutto il cuore:

G R A Z I E!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :-))))))))))))

Daniele

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Letta la recensione. Direi che sicuramente sono un gruppo che prova a sperimentare qualcosa da quanto ho inteso. E questo è già qualcosa di molto importante oggigiorno.

Ciao!
Daniele