"Beh, SALVETTI!!!"
Quello che riporto di seguito è un breve scritto, scovato dall'amico Vittorio in giro per il web, che secondo me è il succo di ciò che il calcio dovrebbe essere ed è sempre meno. Meraviglioso.
Milano. Lunedì ventinove gennaio. Luccicante mass-mediatica serata degli Oscar del Calcio italiano. In mezzo a questo circo dalle molte apparenze e dalle poche sostanze, in termini di valori, con protagonisti giocatori, attori, modelle, gente del mondo dello spettacolo e dello sport 'che conta', in cui le frasi di circostanza vengono dispensate senza pudore, succede un piccolo miracolo. E' il momento della premiazione degli Oscar del Tifo. Il vincitore è un signore di Pavia, tifoso del Cesena, un sostenitore per il quale tutte le domeniche è...trasferta, dovendosi sobbarcare, quando la sua squadra del cuore è impegnata fra le mura amiche dello stadio romagnolo 'Dino Manuzzi', centinaia di chilometri per il viaggio di andata e ritorno. Distinto, preciso, appassionato è questo signore, che spedisce a ritirare il premio il proprio figlio di otto anni. Sale sul palco. Ha una sciarpa bianconera al collo. Subito i luoghi comuni espressi da presentatrici e presentatori, le foto che immortalano il "grande" Cannavaro (ormai completamente svenduto alle logiche dello spettacolo televisivo) e il piccolo bambino. La domanda, scontata e banale, del campione del mondo è ovvia e prevedibile: "Hai la sciarpa della Juve?" ....Sguardo sorpreso del bambino, che prontamente risponde: "No, è del Cesena. Non confondiamo il ferro con l'oro!!" ...Leggero momento di imbarazzo del napoletano, il quale, per recuperare il piccolo affronto, interroga: "... e dimmi, chi è il tuo campione preferito?" ... Altro sguardo perplesso del giovane tifoso e, mentre tutti, sul palco e in platea aspettavano i grandi nomi del calcio attuale, risponde con un perentorio, franco, determinato e fantastico: "Beh, SALVETTI!!!". Scroscio di applausi durato tre minuti, nell'unico momento in cui la sincerità e la spontaneità che appartengono al mondo del pallone, hanno avuto il sopravvento sulle ipocrisie e sulle falsità che ruotano intorno al gioco più bello del mondo. Perchè non si trattava di una 'gag' programmata dal copione, ma di una reazione libera, autonoma, istintiva. E' stato il momento più emozionante dell'intera serata. Il giorno dopo, nelle cronache dei giornali nazionali, nessun cronista accreditato all'evento l'ha riportato. A tutti quelli che amano il calcio per quello che è e non per quanto rappresenta, va il nostro pensiero e il nostro: "Beh, SALVETTI!!!"
mercoledì, gennaio 31, 2007
Sivi...
...compie gli anni! Auguri!
Non ricordiamoglielo troppo perché questo è uno degli anni in cui cambia la prima cifra. Da 2 passa a 3. E magari lui si deprime come se ne finisse 88, lo conosco. Si autodefinisce "vecchio Sivi" (vedi Sivi's world). Forse oggi ricorrerà spesso la frase "sto de un giò" durante sua giornata. Però poi leggi tutto e scopri che pensa a "quello che poteva non essere e per fortuna è stato" e pensi che sta facendo passi da gigante! ihih
Sivi, ricordati che è tutto uno stato mentale.
Auguri!
Ci si vede stasera a cena...
Colgo l'occasione per fare gli auguri anche a Mauro, che gli anni li ha compiuti l'8 gennaio. In quel periodo avevo internet incasinato e non sono riuscito a scrivere nulla per tre o quattro giorni, il compleanno lo si è festeggiato tutti in compagnia, gli auguri glieli si son fatti di persona e la cosa è passata così. Una foto però la pubblico. Eccolo in tutta la sua statuaria bellezza. A vederci insieme uno pensa che non c'entriamo un tubo, data la sua vita da atleta e il suo sex appeal (!). Il mondo, però, è bello perché è vario. E noi lo sappiamo entrambi.
Come si dice in gergo: "click to enlarge!"
...compie gli anni! Auguri!
Non ricordiamoglielo troppo perché questo è uno degli anni in cui cambia la prima cifra. Da 2 passa a 3. E magari lui si deprime come se ne finisse 88, lo conosco. Si autodefinisce "vecchio Sivi" (vedi Sivi's world). Forse oggi ricorrerà spesso la frase "sto de un giò" durante sua giornata. Però poi leggi tutto e scopri che pensa a "quello che poteva non essere e per fortuna è stato" e pensi che sta facendo passi da gigante! ihih
Sivi, ricordati che è tutto uno stato mentale.
Auguri!
Ci si vede stasera a cena...
Colgo l'occasione per fare gli auguri anche a Mauro, che gli anni li ha compiuti l'8 gennaio. In quel periodo avevo internet incasinato e non sono riuscito a scrivere nulla per tre o quattro giorni, il compleanno lo si è festeggiato tutti in compagnia, gli auguri glieli si son fatti di persona e la cosa è passata così. Una foto però la pubblico. Eccolo in tutta la sua statuaria bellezza. A vederci insieme uno pensa che non c'entriamo un tubo, data la sua vita da atleta e il suo sex appeal (!). Il mondo, però, è bello perché è vario. E noi lo sappiamo entrambi.
Come si dice in gergo: "click to enlarge!"
sabato, gennaio 27, 2007
27 gennaio, giornata della memoria (2)
Ci ho ripensato, qualche parola è meglio dirla. Con Primo Levi.
Se questo è un uomo
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”
Ci ho ripensato, qualche parola è meglio dirla. Con Primo Levi.
Se questo è un uomo
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”
27 gennaio, giornata della memoria.
Poche parole, basta una foto e ricordarci che, in passato, non lo hanno fatto solo i nazisti. E che c'è chi continua...
Poche parole, basta una foto e ricordarci che, in passato, non lo hanno fatto solo i nazisti. E che c'è chi continua...
giovedì, gennaio 25, 2007
Metti una sera a teatro. Con Marco Paolini, ovvio!
Marco Paolini è uno di quelli che ti fa amare le cose pesanti. Quelle cose che se le senti raccontate da Enzo Biagi ti vien voglia di diventare tossicodipendente. Il Vajont, Ustica ("In Italia l'indignazione dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno."), le varie stragi su cui si fonda la nostra Repubblica (gli Album), l'uranio impoverito (I prologhi a Report su rai 3). Fa diventare Teatro la ricerca storica e sociale. Fa diventare Poesia i binari del treno e le stazioni come nessun altro. Fa diventare Arte la memoria. Lo amo. Come amo Mario Rigoni Stern (vedi post del 16 dicembre). Il capolavoro di Mario Rigoni Stern si intitola "Il sergente nella neve". Lo spettacolo di Paolini che ho visto mercoledì 19 gennaio a Porto S.Elpidio si intitola "Il sergente. A Mario Rigoni Stern". Come potevano essere le mie aspettative prima dell'inizio secondo voi? Inutile dire che erano a livelli stellari. Non sono state deluse. Mi interessava il racconto, sì (quando si parla di memoria mi si spalanca sempre il cuore, non posso farci nulla), ma mi interessava di più il Teatro, respirarne l'aria, vedere la gestualità dell'attore. Confrontare ciò che avrei visto con ciò che il mio maestro del laboratorio teatrale del martedì sera c'insegna.
Il palco: la scenografia è, oserei dire, minimale. Ci sono tre lastre metalliche che, innalzandosi sul fondale, fanno da specchio a teli bianchi (come la neve...) stesi a terra. Poche le luci: il rosso del sangue, il bianco della neve. C'è una vecchissima macchina da scrivere sulla destra, una cartina dell'Europa al centro, un microfono con leggìo a sinistra. La cartina serve solo all'inizio: "Guarda, Porto S.Elpidio. Ci vuole coraggio a dire NOI ATTACCHIAMO LA RUSSIA", poi se ne va verso la graticcia. E inizia il racconto. Soprattutto, inizia il Teatro. Parole e gesti per raccontare l'eroismo (ma non dite questa parola al sergente Rigoni perché storcerebbe il naso!) di chi, a 40 sotto zero deve farsi a piedi "5600 chilometri". Per raccontare l'infinita grandezza dell'animo umano che la guerra fa venire a galla. Il sergente trova da mangiare in un isba russa, tra soldati russi e donne che cucinano. A tavola con quelli che non chiama mai nemici. Lo hanno accolto, perché ha bussato e chiesto "permesso". Si infila sotto i teli, Marco Paolini, e ci si avvolge. Spunta la testa da un buco e inizia a correre. La neve fino al collo. Magia del teatro. Usa il microfono con eco per far sovrapporre decine di voci e raccontare la battaglia di Nikolajewka, piccola e insignificante sul piano storico: i "veri" teatri di guerra erano Stalingrado, Leningrado e via dicendo. Noi, piccoli italiani, dovevamo accontentarci di Nikolajewka, un paese che nemmeno esiste, che "esiste solo sui libri di storia italiani". Il sergente ha voglia di morire quando si ritrova, superstite, accolto da due donne per giorni e giorni in attesa di salire sul treno che lo riporterà in Italia. Sente "il torto di esser vivo". La voglia di vivere, e di raccontare, gli torna quando sente il canto delle donne russe. Una donna che canta, un piccolo soffio di vita, per lui una tempesta.
Si accendono le luci in sala. Paolini torna Paolini, il racconto torna ad essere storia della letteratura italiana del '900. La magia, il Teatro, li ho ancora dentro.
Marco Paolini è uno di quelli che ti fa amare le cose pesanti. Quelle cose che se le senti raccontate da Enzo Biagi ti vien voglia di diventare tossicodipendente. Il Vajont, Ustica ("In Italia l'indignazione dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno."), le varie stragi su cui si fonda la nostra Repubblica (gli Album), l'uranio impoverito (I prologhi a Report su rai 3). Fa diventare Teatro la ricerca storica e sociale. Fa diventare Poesia i binari del treno e le stazioni come nessun altro. Fa diventare Arte la memoria. Lo amo. Come amo Mario Rigoni Stern (vedi post del 16 dicembre). Il capolavoro di Mario Rigoni Stern si intitola "Il sergente nella neve". Lo spettacolo di Paolini che ho visto mercoledì 19 gennaio a Porto S.Elpidio si intitola "Il sergente. A Mario Rigoni Stern". Come potevano essere le mie aspettative prima dell'inizio secondo voi? Inutile dire che erano a livelli stellari. Non sono state deluse. Mi interessava il racconto, sì (quando si parla di memoria mi si spalanca sempre il cuore, non posso farci nulla), ma mi interessava di più il Teatro, respirarne l'aria, vedere la gestualità dell'attore. Confrontare ciò che avrei visto con ciò che il mio maestro del laboratorio teatrale del martedì sera c'insegna.
Il palco: la scenografia è, oserei dire, minimale. Ci sono tre lastre metalliche che, innalzandosi sul fondale, fanno da specchio a teli bianchi (come la neve...) stesi a terra. Poche le luci: il rosso del sangue, il bianco della neve. C'è una vecchissima macchina da scrivere sulla destra, una cartina dell'Europa al centro, un microfono con leggìo a sinistra. La cartina serve solo all'inizio: "Guarda, Porto S.Elpidio. Ci vuole coraggio a dire NOI ATTACCHIAMO LA RUSSIA", poi se ne va verso la graticcia. E inizia il racconto. Soprattutto, inizia il Teatro. Parole e gesti per raccontare l'eroismo (ma non dite questa parola al sergente Rigoni perché storcerebbe il naso!) di chi, a 40 sotto zero deve farsi a piedi "5600 chilometri". Per raccontare l'infinita grandezza dell'animo umano che la guerra fa venire a galla. Il sergente trova da mangiare in un isba russa, tra soldati russi e donne che cucinano. A tavola con quelli che non chiama mai nemici. Lo hanno accolto, perché ha bussato e chiesto "permesso". Si infila sotto i teli, Marco Paolini, e ci si avvolge. Spunta la testa da un buco e inizia a correre. La neve fino al collo. Magia del teatro. Usa il microfono con eco per far sovrapporre decine di voci e raccontare la battaglia di Nikolajewka, piccola e insignificante sul piano storico: i "veri" teatri di guerra erano Stalingrado, Leningrado e via dicendo. Noi, piccoli italiani, dovevamo accontentarci di Nikolajewka, un paese che nemmeno esiste, che "esiste solo sui libri di storia italiani". Il sergente ha voglia di morire quando si ritrova, superstite, accolto da due donne per giorni e giorni in attesa di salire sul treno che lo riporterà in Italia. Sente "il torto di esser vivo". La voglia di vivere, e di raccontare, gli torna quando sente il canto delle donne russe. Una donna che canta, un piccolo soffio di vita, per lui una tempesta.
Si accendono le luci in sala. Paolini torna Paolini, il racconto torna ad essere storia della letteratura italiana del '900. La magia, il Teatro, li ho ancora dentro.
mercoledì, gennaio 24, 2007
Anna Politkovskaja
Ci siamo tutti indignati (ma come dice Paolini l'indignazione in Italia dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno...) per la strage di Beslan del 3 settembre del 2004. E ci mancherebbe pure: sono morte 394 persone, di cui 156 bambini. Indicibile. Ci siamo molto meno indignati per l'omicidio di stato (perché di questo si tratta, checché se ne dica) di Anna Politkovskaja, giornalista russa assassinata a Mosca il 7 ottobre scorso, nell'ascensore del suo palazzo. E' solo l'ultima (anzi la penultima: pochi giorni fa ne è stato ucciso un altro, ma non ne ricordo il nome. Triste e indicativo dei tempi in cui viviamo) di oltre 100 giornalisti che non erano simpatici a Putin, che invece è molto simpatico a tutto l'occidente, di destra e di sinistra. Dopotutto come si fa a non affezionarsi a un tenero e dolce ex esponente del KGB? Anna Politkovskaja stava per pubblicare una sua inchiesta sulle torture commesse dalle dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramzan Kadyrov, uomo-fantoccio di Putin. Il fatto è che il buon vecchio Vladimir rifornisce di gas praticamente tutta l'Europa. Ora, quando ci sono guerre che, in pratica, vanno avanti da 15 anni, mi interessa poco dibattere su chi ha iniziato. Sta di fatto che le milizie filo-russe, per tutto questo tempo, hanno sistematicamente praticato tortura e genocidio, ma a noi praticamente non lo dice nessuno. Le autorità filo-russe hanno ammesso che 300 mila ceceni sono morti e 200 mila spariti nel nulla. Se qualcuno prova a dirlo ai russi fa la fine di Anna. Forse un giorno, quando apriremo il rubinetto del gas vedremo uscire fuori il sangue dei ceceni massacrati e di quelli come Anna.
Ci siamo tutti indignati (ma come dice Paolini l'indignazione in Italia dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno...) per la strage di Beslan del 3 settembre del 2004. E ci mancherebbe pure: sono morte 394 persone, di cui 156 bambini. Indicibile. Ci siamo molto meno indignati per l'omicidio di stato (perché di questo si tratta, checché se ne dica) di Anna Politkovskaja, giornalista russa assassinata a Mosca il 7 ottobre scorso, nell'ascensore del suo palazzo. E' solo l'ultima (anzi la penultima: pochi giorni fa ne è stato ucciso un altro, ma non ne ricordo il nome. Triste e indicativo dei tempi in cui viviamo) di oltre 100 giornalisti che non erano simpatici a Putin, che invece è molto simpatico a tutto l'occidente, di destra e di sinistra. Dopotutto come si fa a non affezionarsi a un tenero e dolce ex esponente del KGB? Anna Politkovskaja stava per pubblicare una sua inchiesta sulle torture commesse dalle dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramzan Kadyrov, uomo-fantoccio di Putin. Il fatto è che il buon vecchio Vladimir rifornisce di gas praticamente tutta l'Europa. Ora, quando ci sono guerre che, in pratica, vanno avanti da 15 anni, mi interessa poco dibattere su chi ha iniziato. Sta di fatto che le milizie filo-russe, per tutto questo tempo, hanno sistematicamente praticato tortura e genocidio, ma a noi praticamente non lo dice nessuno. Le autorità filo-russe hanno ammesso che 300 mila ceceni sono morti e 200 mila spariti nel nulla. Se qualcuno prova a dirlo ai russi fa la fine di Anna. Forse un giorno, quando apriremo il rubinetto del gas vedremo uscire fuori il sangue dei ceceni massacrati e di quelli come Anna.
giovedì, gennaio 04, 2007
Avrei in mente...
...diverse cose da dire. Ma adesso sono tutte un po' intrecciate tra loro, quindi vediamo di fare chiarezza.
Voglio parlare della musica, che fa talmente parte di me che non ne parlo mai. Sarebbe come parlare dei miei cromosomi.
Voglio parlare degli splendidi tramonti che la mia terra regala in autunno e in inverno, là, verso le montagne. Sembrano quasi albe nel loro aggrovigliarsi di rosso fuoco, rosa e blu elettrico.
Voglio parlare del mio argomento di tesi, ovvero dei musei della civiltà contadina, istituzione che sono fortemente convinto debba avere un futuro perché unico mezzo per ricordarci di coloro i quali la nostra società l'han costruita dalla terra e dalle macerie della guerra, con sudore e lentezza, e ringraziarli.
Voglio parlare dell'arte, perché la maggior parte degli degli uomini (intesi anche come genere, non solo come specie...) la considera bella, sì, ma inutile. Per me è indispensabile. Magari sbaglio, ma ho le mie ragioni.
Voglio parlare di Marco Paolini.
Riparlerei all'infinito anche di ciò di cui ho già parlato e di cui parlerò.
Ecco, l'elenco è fatto. Ora c'è da svilupparlo.
Ah, dimenticavo: BUON ANNO A TUTTI!
...diverse cose da dire. Ma adesso sono tutte un po' intrecciate tra loro, quindi vediamo di fare chiarezza.
Voglio parlare della musica, che fa talmente parte di me che non ne parlo mai. Sarebbe come parlare dei miei cromosomi.
Voglio parlare degli splendidi tramonti che la mia terra regala in autunno e in inverno, là, verso le montagne. Sembrano quasi albe nel loro aggrovigliarsi di rosso fuoco, rosa e blu elettrico.
Voglio parlare del mio argomento di tesi, ovvero dei musei della civiltà contadina, istituzione che sono fortemente convinto debba avere un futuro perché unico mezzo per ricordarci di coloro i quali la nostra società l'han costruita dalla terra e dalle macerie della guerra, con sudore e lentezza, e ringraziarli.
Voglio parlare dell'arte, perché la maggior parte degli degli uomini (intesi anche come genere, non solo come specie...) la considera bella, sì, ma inutile. Per me è indispensabile. Magari sbaglio, ma ho le mie ragioni.
Voglio parlare di Marco Paolini.
Riparlerei all'infinito anche di ciò di cui ho già parlato e di cui parlerò.
Ecco, l'elenco è fatto. Ora c'è da svilupparlo.
Ah, dimenticavo: BUON ANNO A TUTTI!
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