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martedì, dicembre 18, 2007

Sergent magiur ghe riverem a baita?
Marco Paolini - Il sergente (seconda parte)



Piove di traverso, i pantaloni si bagnano fino al ginocchio. Arrivato alla cava, come la ragazza aveva detto, ci offrono vin brulé quasi bollente e formaggio. Buonissimo. Ci fanno sistemare: “posto cuscino fronte – palco”, questo c’è scritto sul mio biglietto, lì mi devo sedere. Sono a un metro e mezzo - due dal palco. Sono solo le 7.30, mancano 2 ore allo spettacolo. Penso che non passeranno mai. Dopo una mezz’ora inizio a sentire il freddo alle gambe. Avrei dovuto lasciare i pantaloni del pigiama sotto i jeans, mi maledico. Osservo il palco, è spoglio, come sempre. Con la solita vecchia macchina da scrivere sulla destra, qualche pietra, su cui Marco si siederà, e alcuni sacchi di sabbia. La scenografia vera e propria è la cava, naturale e innaturale allo stesso tempo, grigia ma di un grigio vivo, si vedono i segni della mano dell’uomo alle pareti. E poi l’acqua, dietro il palco. Con le luci dei riflettori dona un colore grigio – verde stranissimo a tutto l’ambiente, senza riflessi, perché è ferma, per lo meno fin dove arriva l’occhio.
Verso le 9 arriva il Sergente, quello vero, Mario Rigoni Stern. Esplode l’applauso del pubblico, d’altronde son quasi tutti di Vicenza, suoi concittadini, si può dire. E’ un uomo possente, nella sua figura c’è tutto il sapore di ciò che ha vissuto, di come ha vissuto e vive tuttora. Il sergente ci ringrazia per essere lì. Gli si legge la felicità negli occhi: alla fine dirà che finché ci sono così tanti giovani ad ascoltare quella storia, ci sarà speranza. Prima dello spettacolo Marco colloquia col pubblico, risponde alle nostre domande. Poi inizia lo spettacolo. Inutile descriverlo, l’ho già fatto in un altro post ed è più o meno lo stesso, con l’aggiunta di molti, bellissimi, dettagli del viaggio in Russia che Marco ha compiuto, lungo le tappe della ritirata, per la preparazione dello spettacolo (straordinario il racconto del viaggio in treno, d’altronde, come si sa, il treno è una presenza costante nei racconti di Marco, è il paradigma stesso del suo viaggiare e farci viaggiare). Lo spettacolo dura al solito sulle due ore e mezza, lunghissimo. Ancora mi domando come faccia quella persona a non annoiarmi…
Esco con la consapevolezza di aver assistito ad un evento. Vero, non l’ho detto, lo spettacolo andava in onda in diretta su La7. Ma non è questo l’evento, l’evento è il mio, personale. Ho visto un bellissimo spettacolo, ho stretto la mano a Mario Rigoni Stern (soggezione) ed ho lasciato in quei luoghi un pezzo d’anima. Spasiba.

Il giorno dopo, lungo l’autostrada, sento forte la voglia di tornare a casa, ma è la voglia di Ulisse, che dopo aver fatto tutto quel casino per tornare, si narra, volle subito ripartire.

lunedì, novembre 05, 2007

Sergent magiur ghe riverem a baita?
Marco Paolini - Il sergente (prima parte)

Parto la mattina alle 6.30 dopo aver portato mia madre al lavoro. Ho una fifa terribile di star per chiedere troppo alla mia fidata Ford Escort a metano del '92. Tanto per capirci, è un residuato di auto con la targa che indica la provincia seguita da 6 numeri, quasi da museo ormai. Mi chiedo da giorni se riuscirà a macinare in un giorno i chilometri che di solito macina in due settimane. Porto Recanati - Vicenza. A14, fino a Bologna. Faccio varie soste lungo il percorso, voglio prendermela comoda. Infatti arrivo a destinazione con un'ora di viaggio in più del necessario, ma mi va bene così. Prima tappa Sovizzo, a prendere il biglietto che Nick ha ritirato per me con la collaborazione di Valeria. Li ringrazio entrambi e ringrazio internet, Dio, i Pearl Jam che mi hanno dato la possibilità di conoscerli. Un panino e poi destinazione Zovencedo, sui Colli Berici. Come inizio a prendere la salita mi si spalancano gli occhi: è come se guidassi sopra una tela di Constable o di Turner, come se tutti i colori dell'autunno si aprissero per accogliermi nel loro ventre. Uno dei posti più belli che abbia mai visto. Pochissime case, le trattorie e i ristoranti, che pure sono in gran numero, hanno le insegne anni '70, ma non è vintage questo: è così, punto. E poi è pioggia. E nebbia. Sempre più fitta da non veder quasi nulla all'una di giorno. Fortunatamente si diraderà nel pomeriggio, fino a sparire, altrimenti di notte probabilmente non sarei riuscito ad orientarmi in quel labirinto di stradine. Vado alla ricerca della cava Arcari. Non è facile da trovare, non ci sono indicazioni. Dopo aver girato un po' vedo il cartello "Il sergente". Un tizio dell'organizzazione mi dice che da lì è tutta a piedi, quasi un chilometro, sullo sterrato. Scrivi "sterrato", leggi "fango". Bene, il posto è individuato. Mi fermo qualche centinaio di metri più in su, in un bar - ristorante, prendo un caffè, una grappa e leggo Il giornale di Vicenza, secondo cui Zambrotta verrà al milan in gennaio. Speriamo, mi dico. Poi riparto per scendere di nuovo a valle, voglio vedermeli bene questi posti, tra poco più di tre ore sarà buio, devo approfittare. Arrivo a Perarolo, frazione di Arcugnano, dove trovo una locanda e mi sistemo. Torno a Zovencedo verso le 5.30, prima che faccia buio del tutto, e mi fermo in un altro bar - ristorante, altro caffè, altra grappa. Faccio amicizia con la ragazza che sembra gestire un po' il tutto e mi dice che Marco Paolini e la troupe saranno a cena lì dopo lo spettacolo e che comunque ci rivedremo giù alla cava, dove lei distribuirà vin brulé e formaggio. Passo quasi un'ora a chiacchierare con lei e un altro ragazzo finché non è il momento di scendere alla cava, per trovare parcheggio più vicino possibile alla stradina di accesso, visto che piove a dirotto e tira un vento gelido. Devo diminuire il più possibile il tragitto da fare a piedi. Parcheggio, mostro il biglietto e mi avvio in mezzo al bosco, quasi al buio.
Fine prima parte

giovedì, gennaio 25, 2007

Metti una sera a teatro. Con Marco Paolini, ovvio!

Marco Paolini è uno di quelli che ti fa amare le cose pesanti. Quelle cose che se le senti raccontate da Enzo Biagi ti vien voglia di diventare tossicodipendente. Il Vajont, Ustica ("In Italia l'indignazione dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno."), le varie stragi su cui si fonda la nostra Repubblica (gli Album), l'uranio impoverito (I prologhi a Report su rai 3). Fa diventare Teatro la ricerca storica e sociale. Fa diventare Poesia i binari del treno e le stazioni come nessun altro. Fa diventare Arte la memoria. Lo amo. Come amo Mario Rigoni Stern (vedi post del 16 dicembre). Il capolavoro di Mario Rigoni Stern si intitola "Il sergente nella neve". Lo spettacolo di Paolini che ho visto mercoledì 19 gennaio a Porto S.Elpidio si intitola "Il sergente. A Mario Rigoni Stern". Come potevano essere le mie aspettative prima dell'inizio secondo voi? Inutile dire che erano a livelli stellari. Non sono state deluse. Mi interessava il racconto, sì (quando si parla di memoria mi si spalanca sempre il cuore, non posso farci nulla), ma mi interessava di più il Teatro, respirarne l'aria, vedere la gestualità dell'attore. Confrontare ciò che avrei visto con ciò che il mio maestro del laboratorio teatrale del martedì sera c'insegna.
Il palco: la scenografia è, oserei dire, minimale. Ci sono tre lastre metalliche che, innalzandosi sul fondale, fanno da specchio a teli bianchi (come la neve...) stesi a terra. Poche le luci: il rosso del sangue, il bianco della neve. C'è una vecchissima macchina da scrivere sulla destra, una cartina dell'Europa al centro, un microfono con leggìo a sinistra. La cartina serve solo all'inizio: "Guarda, Porto S.Elpidio. Ci vuole coraggio a dire NOI ATTACCHIAMO LA RUSSIA", poi se ne va verso la graticcia. E inizia il racconto. Soprattutto, inizia il Teatro. Parole e gesti per raccontare l'eroismo (ma non dite questa parola al sergente Rigoni perché storcerebbe il naso!) di chi, a 40 sotto zero deve farsi a piedi "5600 chilometri". Per raccontare l'infinita grandezza dell'animo umano che la guerra fa venire a galla. Il sergente trova da mangiare in un isba russa, tra soldati russi e donne che cucinano. A tavola con quelli che non chiama mai nemici. Lo hanno accolto, perché ha bussato e chiesto "permesso". Si infila sotto i teli, Marco Paolini, e ci si avvolge. Spunta la testa da un buco e inizia a correre. La neve fino al collo. Magia del teatro. Usa il microfono con eco per far sovrapporre decine di voci e raccontare la battaglia di Nikolajewka, piccola e insignificante sul piano storico: i "veri" teatri di guerra erano Stalingrado, Leningrado e via dicendo. Noi, piccoli italiani, dovevamo accontentarci di Nikolajewka, un paese che nemmeno esiste, che "esiste solo sui libri di storia italiani". Il sergente ha voglia di morire quando si ritrova, superstite, accolto da due donne per giorni e giorni in attesa di salire sul treno che lo riporterà in Italia. Sente "il torto di esser vivo". La voglia di vivere, e di raccontare, gli torna quando sente il canto delle donne russe. Una donna che canta, un piccolo soffio di vita, per lui una tempesta.
Si accendono le luci in sala. Paolini torna Paolini, il racconto torna ad essere storia della letteratura italiana del '900. La magia, il Teatro, li ho ancora dentro.